"Chi ha più voglia di far fatica di me?"
Alla Transvulcania, ho corso per ricordarmi perché corro
La media maratón della Transvulcania si corre lungo la Ruta de los Volcanes, un percorso che attraversa il cuore vulcanico dell’isola de La Palma, seguendo la dorsale meridionale della Cumbre Vieja. Paesaggi lunari di terra nera e viste mozzafiato.
Aspettavo questa gara da quasi un anno. Sulla carta era la mia gara perfetta: 25 km di (quasi) sola salita.
Non tutto si può controllare, però, e negli ultimi due mesi ho toccato il punto più basso della mia forma fisica. La lunga convalescenza dopo l’infezione polmonare, ritmi stravolti e pochissima energia per allenarmi. Sono arrivata alla settimana della gara senza la preparazione per competere, ma nemmeno quella per riuscire a finirla.
Come se non bastasse, le previsioni davano meteo davvero avverso.
“¿Estás segura que te apetece ir?”, mi chiede timidamente Vero, due giorni prima della partenza. Sa quanto poco sono preparata, sa quanto possa diventare dura passare tre ore in montagna sotto pioggia e vento.
Paradossalmente, avevo davvero tanta voglia di andare, ed era da parecchio tempo che non avevo così voglia di fare una gara. La pressione competitiva che metto su me stessa spesso mi strozza l’entusiasmo. Mi capita di ritrovarmi, nei giorni prima della gara, senza voglia di correre, come se fosse un lavoro da sbrigare più che un'esperienza da assaporare. Questa volta invece è diverso. Elaborato il rammarico per non essere in condizione di competere, ho deciso che ci sarei andata per il gusto di esserci. Senza aspettative. Solo per il desiderio di correre sulla terra vulcanica de la isla bonita.
Quando abbassiamo le aspettative, tutto sembra meno preoccupante.
Vada come vada, preparo il mio kit gara e mi imbarco.
Alloggio in un ostello, l’unico posto rimasto quando ho prenotato. In camera con me ci sono cinque ragazzi iscritti all’ultra da 73 km. Scambiamo qualche battuta sul meteo, come a volerlo esorcizzare. Ma nessuno di noi era davvero pronto a ciò che ci aspettava.
La loro sveglia suona alle 3 e mi sveglio anch’io. Fuori piove forte. Il suono della pioggia si mescola a quello dei preparativi. Li saluto, auguro buona gara. Leggo la preoccupazione nei loro occhi.
Alle 5 esco. Ha smesso di piovere. Raggiungo il pullman dell’organizzazione asciutta. Ci portano alla partenza, all’estremo sud dell’isola.
Un lembo di terra nera, modellato dal fuoco dei vulcani, si tuffa nell’Atlantico ed è lì che sorge il Faro de Fuencaliente.
Due fari, in realtà: uno antico, uno moderno.
Fianco a fianco, il passato e il presente.
Il sole sta sorgendo e la luce del crepuscolo rende tutto ancora più suggestivo, ma una nuova tempesta ci sorprende. Ci ripariamo dentro al faro, attaccati uno all’altro, senza parlare, ognuno chiuso nei suoi timori. La pioggia ci concede una tregua, ci schieriamo alla linea di partenza quasi tutti senza nemmeno scaldarci prima.
Il giorno prima,
mi aveva condiviso un testo, che adesso potete leggere qui.Parlava della relazione con il dolore e la fatica in gara, spiegando come affrontarla per livelli. L’ho subito salvato nel cassetto delle cose che potevano tornarmi utili
Si parte in salita e continuerà a salire per i prossimi 21 chilometri. La pioggia ha dato tregua e il cielo sembra quasi volersi aprire, cominciamo a scalare la montagna dal livello del mare e qui la temperatura è gradevole, tanto che decido di togliermi la giacca antivento e riporla nel gilet. I primissimi chilometri sono su asfalto e posso correre. Non mi sono scaldata, quindi il fiato corto si fa subito sentire, ma ripenso a quello che ha scritto Gabriele e sono consapevole che questo sia il LIVELLO 1, quando “il corpo protesta e la mente deve assumere il controllo”.
Non combatto, ma accetto e continuo a scalare. Presto l’asfalto lascia spazio al sentiero. Le pendenze aumentano. Inizia a piovigginare. Mi distraggo con i numeri nel mio Garmin: metri di dislivello e chilometri restano sorprendentemente proporzionali. 5,4 km e 540 metri. 6,3 km e 630 metri.
La natura ha una precisione che mi stupisce.
Al settimo chilometro comincia a piovere, la temperatura scende drasticamente e tiro fuori l’antivento, ma le mani cominciano già a essere troppo fredde per togliermi il gilet, così metto l’antivento sopra, senza però riuscire a chiuderlo perché le flask me lo impediscono.
A Los Canarios, primo ristoro, prendo un gel. Non mi fermo. Un signore mi affianca: “Guapa, aquí no sirve trotar, hazme caso, recupera que luego sube más!” (qui non serve corricchiare, dammi retta, recupera che dopo è dura).
Lo ascolto. Cammino.
Aveva ragione: pochi metri dopo, un muro.
La terra è più soffice, i piedi affondano. Fatica vera.
Sono nel LIVELLO 2: “Soffrire, ma trovare il ritmo.”
Piove sempre più forte. Il vento mi sbilancia. Le mani sono rigide, i muscoli anche. Corro esposta e ho paura di cadere. Mi concentro solo sul respiro e sui miei passi. Noto che sulla terra nera vulcanica, spiccano i bachi bianchi che la popolano.
Per restare presente, li conto. 1 gusano. 2 gusanos. 3 gusanos…
Sono nel LIVELLO 3, e ricordo cosa scrive
: “Entrare veramente in gara.”Il corpo si è adattato, il respiro si è allineato ai battiti aumentando la velocità, le gambe cominciano a pesare molto, il freddo e la pioggia cominciano a darmi i primi problemi di rigidità muscolare, ma paradossalmente la mente diventa più lucida e io mi sento completamente in gara. Cerco di combattere il freddo aumentando il passo, la salita aumenta di pendenza e il terreno diventa sempre più difficile. Al prossimo ristoro mancano ancora diversi chilometri, nel frattempo ho finito i gel. Il vento è insostenibile. Il cappello vola via, non riesco neanche a voltarmi per guardarlo. Sono zuppa, congelata. L’antivento si gonfia come una vela, ma non posso fermarmi: se lo faccio, non riparto.
LIVELLO 4: “Dare tutto: È il momento di utilizzare le riserve, sapendo che avete già superato la parte più difficile.” E allora è lì che vado a pescare, nelle riserve. Ho già scalato 1.600 metri. Il ristoro è vicino. O almeno credo. Ho ancora molta acqua, perché le mani congelate mi hanno impedito di bere. Credevo di trovare cibo al ristoro, ma ho fatto male i conti: hanno solo liquidi.
Pioggia e vento mi sono entrati nelle ossa. Mi ripeto il mantra di Gabriele: “Devi essere il campione del mondo di fatica” e la sofferenza cambia volto: non è più un nemico, ma uno strumento. È il segnale che sto dando il mio meglio.
Abbasso lo sguardo, perché la grandine mi taglia il viso. 5 gusanos, 6 gusanos, 7 gusanos. La tempesta fuori, la calma dentro.
Contando i bachi e ripetendomi "Chi ha più voglia di far fatica di me?", altro mantra rubato a
, finisco la salita.LIVELLO 5: “Morire metaforicamente nell’attività.”
Sono al limite. Piango. Urlo. Ho freddo, troppo freddo.
La lucidità svanisce.
Mancano 4 km. Inizia la discesa.
Di solito in discesa sono cauta. Ma oggi no. Sono già “morta nell’attività”. La paura non ha più spazio. Voglio solo finire.
Negli ultimi 500 metri vedo una ragazza davanti a me e divento un automa.
Accelero. Mi butto in discesa. La supero.
Taglio il traguardo, zuppa e tremante.
Una medaglia e poi la tenda della Croce Rossa, dove mi spogliano completamente e mi avvolgono sotto strati di coperte e teli termici.
E anche l’ipotermia, la posso raccontare.
È stata una delle gare più dure. Ma anche una delle più belle.
Quando il dolore arriva fino alle costole, ci vuole qualcosa che ti parli dentro.
Ho guardato in faccia la mia debolezza, per ritrovare la forza. Per ricordarmi perché lo faccio.
Ho corso per ricordarmi perché corro.
Cosa faccio quando non corro 📚🎵
Consigli di lettura e ascolto
La maestria del dolore, la newsletter di
che è stata fondamentale per terminare questa gara e per scrivere questa newsletter, a partire dal titolo.“Sfacciati - L'arte di cambiare identità ed essere qualsiasi cosa”. Con un approccio che combina comunicazione e neuroscienze, Mick Odelli esplora la possibilità di abbracciare più identità per adattarsi alle diverse situazioni della vita.
"Pink Elephant", il nuovo disco degli Arcade Fire.
Wow mi hai fatto venire l'ansia che non saresti riuscita a finirla. Racconti al cardiopalma. Brava. Ma alla fine hai capito perché corri?
Davvero wow! 💥