“No soy buena en bajar” (Non sono brava in discesa!) è il mio biglietto da visita quando mi chiedono del mio rapporto con la corsa.
Ho caviglie agili, quadricipiti forti, un buon motore in salita. Eppure, appena il sentiero punta verso il basso, qualcosa dentro di me si irrigidisce.
Mi blocco, inciampo anche dove non c’è nulla, sento l’ansia di chi mi corre dietro, mi sposto, lascio passare e ogni volta sento quella voce nella mia testa: “Vedi? Non sei capace. Non eri brava in discesa nemmeno quando correvi in Mountain bike”.
Col tempo questa frase è diventata un’etichetta, una profezia che si autoavvera ed ho finito per crederci davvero. Io sono “quella che è forte in salita ma disastrosa in discesa”.
Solo col tempo e con un po’ di onestà, ho capito una cosa: la discesa non è solo tecnica, è quello che tu pensi di poter fare e quanto tu pensi di poterti fidare del tuo corpo.
La testa prima delle gambe
Se la salita non mente, perché ti misura in modo diretto, brutale e sincero, la discesa a volte sembra bugiarda. Potresti avere il fisico giusto, le gambe forti, eppure arrancare.
In discesa, più ancora che forza o abilità, serve fiducia. Serve una mente che si lasci andare, che si fidi dei propri riflessi, dell’allenamento fatto e del corpo che sa sempre più di quanto crediamo.
Quando mi ripeto “non sono capace”, inevitabilmente inciampo, ma quando riesco a zittire quella voce, anche solo per un attimo, qualcosa cambia. Respiro. Sorrido. Il passo si scioglie.
Sto capendo che la chiave non è solo correggere il gesto, ma riscrivere la mia narrazione interiore.
Allenare la fiducia
Così ho iniziato a lavorarci.
Non solo con salti, pliometria, equilibrio, ma anche con esercizi mentali.
Mi espongo a discese di difficoltà crescente.
Visualizzo me stessa mentre scendo fluida, forte, stabile e quando arrivano i pensieri sabotanti -“non sei capace”, “tutti sono meglio di te”- cerco di trasformarli in appoggi stabili: “Sto migliorando”, “Mi fido del mio corpo”.
Non sempre funziona, a volte mi blocco lo stesso, ma piano piano mi sto sciogliendo.
Ho finalmente chiaro che il primo passo per migliorare in discesa è smettere di identificarsi con chi non sa scendere.
Ogni discesa è un piccolo atto di fiducia e la fiducia, come un muscolo, si allena.
L’autoefficacia è (quasi) tutto
Nella psicologia dello sport si parla di autoefficacia, ovvero la convinzione di avere gli strumenti per affrontare una situazione. Nutrire senso di autoefficacia è sempre riferito ad un attività specifica e significa fidarsi di quello che sai fare ed essere consapevole che hai le abilità per farlo.
In termini puramente tecnici, per migliorare il mio senso di autoefficacia nell’affrontare le discese tecniche, mi affido all’allenamento in palestra e fuori:
Pliometria: salti, rimbalzi, atterraggi controllati. Serve a sviluppare reattività e capacità di assorbire impatti.
Propriocettiva: equilibrio su tavolette instabili e mani sui fianchi, per fidarmi di più dei miei appoggi e avere più equilibrio quando correndo potrò usare le braccia.
Rapidità neuromuscolare: scatti ed esercizi coordinativi. Servono a migliorare la reattività, la lettura rapida del terreno e rendere più reattivi tendini e articolazioni.
La discesa è velocità di pensiero, decisione in una frazione di secondo, ma soprattutto: è fidarsi di quello che sappiamo fare.
Capacità e interferenze
Un cosa che mi ha fatto riflettere molto e che altri mi hanno fatto notare, è che in gara, le stesse discese tecniche che in allenamento mi paralizzano, molto spesso riesco a scenderle a buon ritmo.
Non si tratta di qualcosa di fisico, perché è proprio in gara che quasi sempre arrivo con le gambe stanche alla discesa. Quello che fa la differenza, è il modo in cui ho imparato a parlarmi durante le gare e come riesco a ridurre le interferenze, sia interne che esterne.
È apparentemente singolare come l’attuazione di un gesto (in questo caso correre in discesa), cambi a seconda delle situazioni, a prescindere dal fatto che la nostra capacità di fare quella cosa rimanga sempre la stessa.
Voglio dire: se so farlo, so farlo sempre. Allora perché ci sono volte in cui scendo bene e altre in cui scendo male?
Lo spiega bene Timothy Gallwey nel suo libro “Il gioco interiore del tennis”, con la formula
Risultato = capacità - interferenze
La nostra capacità non cambia all’improvviso, ma cambia quanto di quella capacità riusciamo a esprimere, in funzione delle interferenze.
Queste interferenze possono essere esterne: un terreno più tecnico del solito, la pressione di chi ci tallona, il meteo, una giornata storta. Oppure interne: pensieri sabotanti, paura, mancanza di fiducia, aspettative troppo alte o troppo basse.
La buona notizia? Se il risultato non dipende solo dalla capacità, allora si può migliorare anche lavorando sulle interferenze ed è ciò che sto facendo, ogni volta che alleno la fiducia, la consapevolezza e la mia risposta alla paura.
Accettare di cadere
Una delle interferenze su cui mi sono accorta di dover intervenire è la mia necessità di avere tutto sotto controllo.
Chi corre in montagna prima o poi cade.
Per quanto non mi piaccia saperlo, è quello che devo scolpirmi in fronte.
Pensare di poter evitare le cadute è un’illusione che mi irrigidisce e più mi irrigidisco, più rischio di cadere davvero.
La paura non si elimina: si ascolta.
Serve imparare a distinguere tra la paura utile, quella che ci protegge e quella che ci blocca. Alla paura bisogna rispondere non con negazione, ma con consapevolezza: “È possibile che cada, ma fa parte del gioco e ho i riflessi pronti, per non cadere rovinosamente”
Serve allora essere preparati a cadere, restare pronti a questo scenario per rialzarsi più in fretta e non smettere mai di fidarsi del proprio corpo. Anche in caso di caduta.
La discesa come specchio
Ogni discesa, per me, è una metafora.
Del modo in cui mi trattengo, di quanto controllo cerco di avere nella vita, di quanto mi costa lasciarmi andare.
La discesa è un luogo mentale. Uno specchio dove si riflettono automatismi, rigidità, convinzioni, ma è anche un campo di gioco e io la sto usando come laboratorio per provare a riscrivere alcuni miei limiti.
Non si tratta di diventare incoscienti, ma di allenare la fiducia tanto quanto la tecnica.
Si tratta di scoprire che, alla fine, l’efficacia non è solo questione di performance, ma di relazione con se stessi.
🖋️ Altre cose che ho scritto questa settimana
La scorsa settimana è uscito il mio primo articolo per Runlovers. Parla delle “prime volte” nella corsa e di come ricordarle possa aiutarci a ritrovare motivazione e a restare connessi con le nostre ragioni più profonde. È l’inizio di una collaborazione a cui tengo molto: seguo Runlovers da quando ho iniziato a correre e credo davvero che da certe collaborazioni possano nascere sinergie belle e produttive.
Per il blog lineedimovimento.it, ho pubblicato questo articolo che descrive quali tecniche uso e su quali fattori lavoriamo con i miei atleti di endurance, per sviluppare la loro resilienza.
📚🎵 Cosa faccio quando non corro
Consigli di lettura e ascolto
GOING FURTHER - The Canyons 100k, il documentario in cui
racconta la sua preparazione per la Canyons 100k che ha vinto stabilendo il record del percorso e aggiudicandosi il Golden Ticket per Western States (a cui però ha rinunciato).Imparare a gestire le difficoltà. La newsletter di
del 20 maggioLA PARADOSSALE RICERCA DELLA FELICITÀ. La newsletter del 21 maggio di Gabriele Colombo Sport Coach.
029 Corri per piacere o per scappare? ft. Rossella Vono la puntata uscita questa settimana del del podcast Run Within
Perché non miglioriamo? I falsi miti che frenano i runner. La puntata del 17 maggio del podcast Il Lungo
Mi fa sempre piacere leggere quello che scrivi. So che è un commento un po’ sterile ma mi piaceva condividerlo.
Ah, io ho il problema contrario… la salita, la soffro terribilmente ma piano piano, con l’allenamento, sta migliorando (ovviamente non ai tuoi livelli 😂).
Stavo rimuginando da qualche giorno sulle aspettative, con l'idea di scriverne, questa puntata mi ha acceso una lampadina nella testa.